L’eredità che lascia Sergio Marchionne

Quando la situazione economica e finanziaria di un’azienda rischia di diventare drammatica, ci vuole sempre l’intervento di una persona o di un gruppo di persone risolute per scongiurare il pericolo.

Nel recente passato, questa figura in Italia è stata rappresentata da Sergio Marchionne, deceduto la scorsa settimana a 66 anni. Fiat e Chrysler erano sull’orlo del fallimento, causando il panico tra lavoratori e azionisti. Grazie al suo intervento, tutto venne scongiurato tramite una profonda ristrutturazione, la quale ha portato alla fusione delle due aziende creando il settimo più grande gruppo automobilistico del mondo.

Mentre resta il mistero sul perché non è stata divulgata la sua terribile malattia, ciò che ha lasciato è una capitalizzazione di mercato della Fiat aumentata di oltre dieci volte durante i suoi 14 anni di amministrazione.

Condusse audace affari, come nel 2005, quando convinse la General Motors a non acquistare la Fiat, incassando nello stesso tempo 2 miliardi di dollari. Grazie a lui, sono stati introdotti nuovi processi produttivi negli stabilimenti Fiat italiani; basti pensare che quello all’epoca fatiscente di Pomigliano d’Arco adesso è diventato uno tra i migliori al mondo.

Ma la figura di Marchionne e il suo lavoro non sono state apprezzate da tutti. Ad esempio, divenne impopolare la mossa di voler portare la Fiat al di fuori di Confindustria, in modo da apportate modifiche ai contratti di lavoro atte ad aumentare la produttività negli stabilimenti italiani.

In conclusione, lascia una pesante eredita: al suo successore Mike Manley il compito di portarla avanti.

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